A quattro passi da Piazza San Marco è collocata la sede monumentale di una delle più antiche e notevoli comunità greche fuori dalla madrepatria. L’Istituto Ellenico di Studi Bizantini e Postbizantini, erede ideale della confraternita ortodossa riunita sotto l’egida della Scuola di San Nicolò della Nazion Greca fondata nel 1498 (nel 1453 cadeva Costantinopoli) sul consolidato modello delle Scuole veneziane, è impegnato oggi soprattutto nella diffusione della cultura greca attraverso la promozione culturale, l’educazione (come i corsi di greco contemporaneo gratuiti) e la ricerca, nonché la tutela e la valorizzazione del suo patrimonio storico, artistico e archivistico.

Il complesso monumentale dell’Istituto, oltre alla Chiesa di San Giorgio dei Greci, comprende anche un edificio noto come Scoletta (l’antica sede della Scuola) progettata dal celeberrimo architetto Baldassare Longhena. È proprio in questo scrigno tardo-rinascimentale – che ben lascia intuire le risorse della comunità greca a Venezia – che oggi è (ben) allestito il piccolo, ma preziosissimo, museo di icone, la cui collezione si è formata soprattutto grazie ai lasciti e ai donativi dei membri della confraternita. Per approfondimenti: Maltezou n.d.

Giorgio Klontzas ai musei di Atene e Venezia

Nel museo veneziano rimango piacevolmente sorpreso di “ritrovare” alcune delle più importanti opere di Giorgio Klontzas (Γεώργιος Κλώντζας; Heraklion 1535 – 1608 ca.), artista cretese a tutto tondo – pittore, miniaturista e letterato (per il quadro bibliografico consiglio la relativa voce nella Encyclopedia of Greece and the Hellenic Tradition scritta da Constantoudaki) – che ho conosciuto, per la prima volta, al Museo Benaki di Atene grazie all’icona di San Giorgio e il drago che desidero qui descrivere.

L’opera (seconda metà del XVI sec.), che definirei compiutamente monumentale nelle intenzioni e nell’impostazione, solo a prima vista ritrae il santo nella sua consueta mansione liberatrice. Se la posa è fedele alla tradizione bizantina, notevoli sono le “deroghe” a questa (sul contesto del cd. Rinascimento Cretese vedi il prossimo paragrafo, per chi ha pazienza).

La serenità del volto, non più comunque ieratica, ben si accompagna alla gestualità – quasi immobile nella sua fermezza – degli arti; tuttavia la scena è dinamicamente generosa. Il mantello rosso, anche questo un elemento tradizionale, si dispiega vorticosamente attorno alla testa del santo; il moto dei drappeggi è coordinato a quello degli pterigi (frange del gonnellino e spalline). I volumi delle masse muscolari del cavallo son ben caratterizzati e definiti, così come la sua espressività e il generale atteggiamento dell’animale.

Infine, ma forse uno degli aspetti più importanti, il fondo dorato è qui sostituito da un terso cielo azzurro e da un paesaggio naturale dove sono inseriti chiari riferimenti urbani che non stonerebbero in una pala italiana: oltre alla “doverosa” torre dalla quale il re offre le chiavi della città liberata, si scorge sullo sfondo un insediamento con torri, campanili ed edifici a pianta circolare. La povera principessa – con arguta ironia definita da un mio caro amico come “proprio la protagonista” – è appena visibile in basso a sinistra ed è purtroppo mal conservata. Il suo abbigliamento tuttavia può essere confrontato con un altra icona di San Giorgio (Museo Bizantino di Atene), attribuita allo stesso autore, dove sono piuttosto evidenti i riferimenti alla moda veneziana coeva (vesti, acconciatura, gioielli). Per approfondimenti sui San Giorgio di Klontzas consiglio Tsiouris 2017; Αχειμαστου-Ποταμιανου 2001.

Nel museo delle icone dell’Istituto Ellenico di Venezia sono custodite, come accennato sopra, alcune delle opere più straordinarie e visionarie di Giorgio Klontzas (alcune attribuite): la Presentazione al Tempio; il Giudizio Universale; un trittico e la rappresentazione dell’inno “in Te gioisce”.

Quest’ultima icona – sulla quale mi concentrerò qui – quasi più una grande tavola, ritrae per l’appunto l’inno per la Madonna composto da Giovanni Damasceno (dopo il 650 – 750 ca.) noto anche come “In Te si rallegra ogni creatura” (Επι Σοι Χαιρει; In Thee Rejoiceth), un soggetto molto caro e diffuso nell’arte sacra ortodossa. In alto, sulle piccole vele libere dalla scena, dove sembra trovare rifugio il tradizionale fondo oro, è possibile leggere – come un titolo – i primi versi del componimento: “In te gioisce tutto il creato, l’ordine degli angeli e il genere umano” (Kazanaki-Lappa 2009, p. 75).

Vi assicuro che nessuna fotografia può rendere pienamente merito all’opera che, vista da vicino, è straordinariamente affollata, ricca e fitta di dettagli al punto di sembrare più una gigantesca e composita miniatura che una icona. Anche i colori vibranti, con una paletta cromatica cangiante metallica e gemmea (che mi ricorda la scuola ferrarese, come altri elementi che descriverò subito oltre), sembrano mutuati dalla tradizione miniaturistica.

Al centro della composizione, corrispondente al cerchio generato dal profilo a lunetta della parte pittorica dell’icona, è ritratta la Madonna in gloria con in grembo il Cristo. La “mandorla” che la accoglie è stellata e coronata da una architettura cupolata di tradizione bizantina (e veneziana). Da questo elemento si generano, quasi come una eco, una serie di rigorosi scompartimenti concentrici – tanto figurativi quanto narrativi come delle metope – popolati da una folta schiera di personaggi, tra i quali cherubini, angeli e santi; e varie scene, alcune delle quali del Dodecaorto (Δωδεκαόρθον: le dodici festività principali del culto ortodosso). L’aspetto forse più straordinario, evidente segno della padronanza compositiva di Klontzas, è la libertà e la dinamicità generale che emergono dalla rigida costruzione geometrica. La dimensione corale e partecipata, celebrata nell’inno, trova una piena e compiuta raffigurazione in questa icona.

Costruzione spaziale della icona di Giorgio Klontzas
Dettagli della rigorosa e complessa costruzione geometrica degli scompartimenti dell’icona. (Foto wikimedia).

Una “ghiera” è particolarmente interessante e, se non fosse per la sua concezione cosmologica (peraltro suggerita ad esempio in alcuni passi dell’inno Acaisto come “Ave, o stella che il Sole precorri”), apparentemente fuori contesto e poco opportuna. Sui rispettivi carri trionfali si susseguono infatti (con curiose ripetizioni) alcune divinità del pantheon classico, filtrate con l’Ellenismo in Oriente e più volte rielaborate, legate gli astri, i mesi e all’oroscopo. Particolarmente stringenti sono i confronti che ho individuato, incuriosito dal tema, con le incisioni che accompagnano le edizione stampate (anche a Venezia) dei trattati astrologici del persiano Albumasar (Abu Ma’shar al-Balkhi, 787-886 ca.) e quelle del calendario attribuito a Baccio Baldini (1460 ca.).

L’affascinante e complesso tema delle “infiltrazioni” dell’iconografia (e non solo) astrologica nell’arte è notoriamente affrontato da Warburg: casi emblematici sono i cicli pittorici del Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia a Ferrara e, rimanendo in ambito veneto, quelli del Palazzo della Ragione (Salone) di Padova. Per approfondimenti consiglio l’imprescindibile “Astrologica”, la raccolta dei saggi e appunti del citato Warburg edita da Einaudi.

Oriente e Occidente esprimevano in modo duplice la loro indulgenza nei confronti di questi emigranti disprezzati [le divinità pagane]: gli astrologi e gli astronomi di Baghdad tenevano soprattutto vivo il mondo degli dèi antichi in quanto dèmoni astrali facenti parte del cosmo ellenistico; i dotti cristiani dell’Europa occidentale offrivano invece a questa famiglia olimpica un ricovero nelle loro enciclopedie.

Warburg 1913, Le migrazioni dell’antico mondo degli dèi prima del loro ingresso nell’alto Rinascimento italiano, edizione Einaudi 2019, pp. 151-152.
Carri trionfali degli dei pianeti e zodiaco
I carri con le divinità, gli astri e i segni zodiacali a confronto con le incisioni che accompagnano l’edizione curata da Erhard Ratdolt (1489) de De magnis coniunctionibus di Albumasar (787-886 ca.) (incisioni da webarchive.org).

La parte superiore dell’icona, assecondando la lunetta del campo pittorico, raffigura una imponente costruzione sacra cupolata, inserita in un contesto cittadino, che ospita il Crocifisso. Sullo sfondo è riconoscibile un giardino di primigenia memoria caratterizzato da una lussureggiante vegetazione e variopinti uccelli.

Sulla porzione inferiore è invece ritratta la Gerusalemme celeste, resa come una composita città anfibia – priva di cinta muraria – che si sviluppa su più isolotti, verosimilmente una allusione a Venezia. Tutt’intorno si dispongono, con il consueto horror vacui di Klontzas, i protagonisti della Chiesa, delle Scritture e, più in generale, del culto. Per un quadro generale in italiano dell’icona consiglio Kazanaki-Lappa 2009, pp. 74-75.

si riassume la storia cristiana della salvezza dell’uomo e […] tutto l’universo e il genere umano redento loda la Madonna per il suo ruolo nell’Incarnazione

Kazanaki-Lappa 2009, p. 75

Di Rinascimento in Rinascimento

Giorgio Klontzas è considerato uno dei massimi esponenti del cd. Rinascimento Cretese, un fenomeno soprattutto culturale sviluppatosi in seno all’isola durante la stabilizzazione della venetocrazia (dalla fine del XV sec. fino alla conquista ottomana). La definizione, per quanto di convenienza (e un po’ grossolana) come tutte le etichette, è evidentemente mutuata dal, in qualche modo, confrontabile “moto” (come descrivere il Rinascimento italiano?) che ha coinvolto il complesso mosaico italiano. Per un quadro sul dibattito consiglio Olympios 2016.

Un’analogia tra i due rinascimenti di certo è tracciabile, ed è costituita dalla complessità (o impossibilità) di porre dei chiari e netti limiti che possano circoscrivere e inquadrare dei fenomeni così complessi. Ad esempio, se per la situazione italiana è facile “scivolare” sulle precedenti e cicliche rinascenze (impossibile non ricordare Panofsky), così per quella cretese è importante il peso di un altro rinascimento (quello paleologo), dei copisti attivi sin almeno dalla seconda metà del XIV sec., ed è riduttivo attribuire il merito dell’esplosione della produzione artistica alla sola Serenissima, ignorando così il contributo locale e il quadro internazionale più ampio. Per approfondimenti consiglio Holton 1991.

Se l’impulso veneziano nei campi dell’architettura (con la costruzione delle grandi opere militari, civili e religiose, nonché delle residenze private, impossibile non citare in merito l’opera monumentale di documentazione di Gerola), dei circoli culturali (con la fondazione delle prime Accademie, come quella “dei vivi” di Francesco Barozzi a Retimno), della musica e (almeno in parte) della letteratura, sembra, in effetti, imprescindibile, diverso è il quadro della pittura.

Alla fine del XV sec. gli artisti cretesi riescono infatti meritevolmente ad inserirsi in una triangolazione Creta-Venezia-Costantinopoli (Dalègre 2019, p. 213) che crea il contesto più favorevole alla loro fioritura e successo anche commerciale. La caduta della capitale bizantina non solo sbilancia gli equilibri (e gli animi) mediterranei, ma produce una diaspora di dotti, artisti e manodopera specializzata – con i loro saperi, biblioteche, collezioni e cimeli – che trovano soprattutto rifugio nella Serenissima, in primis Venezia e Creta.

La richiesta di opere pittoriche cretesi celebri per la loro qualità (anche devozionale, non solo artistica), in particolare delle icone alla maniera latina e greca, conosce una crescita esponenziale (questa sì, grazie alle reti commerciali veneziane) che, oltre a consolidare la scuola cretese, crea spazi più solidamente sostenibili per la sperimentazione, la selezione e la rielaborazione dei canoni e delle soluzioni più spiccatamente “italiani”. I trascendentali fondi d’oro lasciano progressivamente il passo ad azzurri cieli tersi, paesaggi bucolici e antropici; lo spazio viene, almeno in parte, concepito nella sua profondità grazie all’adozione più consapevole della prospettiva e diventa il palcoscenico dove collocare figure dalle volumetrie più sicure e dagli atteggiamenti meno cristallizzati.

Gli esiti forse più straordinariamente inaspettati di questo percorso, consciamente e creativamente intrapreso, sono evidenti confrontando le opere giovanili con quelle mature del cretese El Greco (Δομήνικος Θεοτοκόπουλος; Heraklion 1541 – Toledo 1614). Qui vi propongo l’icona di San Luca che dipinge la Madonna, vista al Museo Benaki di Atene e il Battesimo di Cristo che mi aveva colpito a Palazzo Barberini di Roma.

L’impollinazione non è tuttavia monodirezionale (Core–Periphery per dirla all’inglese), ed i cretesi – che non hanno mancato più volte di dare filo da torcere alla “madrepatria” (per un quadro: Maltezou 2010) – hanno saputo sfruttare i canali aperti dalla Serenissima, anche inserendosi nell’agone economico e culturale della stessa capitale lagunare. Complice la diffusione a Venezia delle lettere greche e della stampa – basti pensare al lascito bessarioneo da un lato e ad Aldo Manuzio dall’altro – i cretesi Zaccaria Calliergi (Ζαχαρίας Καλλιέργης) e Niccolò Vlasto (Νικόλαος Βλαστός) avviano una tipografia / casa editrice esclusivamente dedicata alla produzione e diffusione di opere in Greco, con notevoli progressi anche tecnici nell’elaborazione di caratteri in grado di riprodurre con più accuratezza gli accenti e gli spiriti (Dalègre 2019, pp. 219-223).

L’opera forse più celebre (1499) è l’Etymologicum Magnum (Ἐτυμολογικὸν Μέγα), un lessico greco soprattutto destinato ai dotti dell’università di Padova dove, nel 1463, era stata affidata la prima cattedra di Greco all’ateniese Demetrio Calcondila (Δημήτριος Χαλκοκονδύλης) e, dopo alcuni anni, al cretese Marco Musuro (Μάρκος Μουσοῦρος). È stato ricostruito che nell’arco di due secoli (1500-1700) più di mille “candioti” (cretesi) hanno studiato presso la prestigiosa università patavina (Holton 1991, p. 7).

A Zaccaria Calliergi (e/o a suo figlio Niccolò) si devono le prime stampe (1509) in Greco “vernacolare” (demotico) sia di opere religiose che mondane. Tra queste spicca il poema Apokopos del retimniota Bergadìs, forse originariamente Bragadin in veneziano, incentrato sul fortunato tema del viaggio oltremondano in sogno (per approfondimenti: Luciani 2014; Vincent 2014, pp. 108-113). È importante sottolineare come gli organi della Repubblica avessero concesso la tutela commerciale il beneficio di sostanziale monopolio alla tipografia di Calliergi per la pubblicazione di testi cultuali e liturgici greci (Mioni 1973).

I rapporti tra Venezia e Creta sono quindi, e desidero nuovamente sottolinearlo, tutt’altro che scontati o “semplicisticamente” da inquadrare in una ricezione passiva degli stimoli dalla Serenissima da parte della grande isola. I frutti di questo felice periodo hanno avuto una duratura eco in entrambi i contesti.

The meeting of East and West which took place in Crete in the period of Venetian rule engendered a process of cultural cross-fertilisation which had far-reaching consequences for the development of Modern Greek art and literature.

Holton 1991, p. 16.

Il tema del cd. Rinascimento Cretese e degli scambi tra “madrepatria” e colonia è, per ovvie ragioni, qui solo tratteggiato. In calce, per chi volesse iniziare ad approfondire, ho raccolto una serie di contributi che mi sono stati utili.


Letture consigliate

  • Αχειμαστου-Ποταμιανου Μ. 2001, Εικόνα του αγίου Γεωργίου στο Βυζαντινό Μουσείο Αθηνών αποδιδόμενη στον Γεώργιο Κλόντζα, Deltion of the Christian Archaeological Society, 22, pp. 77-86.
  • Dalègre J. 2019, Venise en Crète. Civitas venetiarum apud Levantem, Parigi.
  • Gerola G. 1905-32, Monumenti veneti nell’isola di Creta. Ricerche e descrizione fatta per incarico del r. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, Voll. I-IV, Venezia.
  • Graham S. 2000, Encyclopedia of Greece and the Hellenic Tradition, Londra e Chicago.
  • Holton D. 1991, Literature and Society in Renaissance Crete, Cambridge.
  • Kazanaki-Lappa M. 2009, Arte bizantina e postbizantina a Venezia. Museo di Icone dell’Istituto Ellenico di Studi Bizantini e Postbizantini di Venezia, Venezia.
  • Luciano C. 2014, Il cronotopo nell’Apokopos di Bergadìs, in G. Lalomia et al. (eds.), Forme del tempo e del cronotopo nelle letterature romanze e orientali, Roma, pp. 521-542.
  • Maltezou Ch.A. 2010, Creta durante la venetocrazia: cenni storici, in M. Scroccaro e M.G. Andrianakis (eds.), Candia e Cipro. Le due isole “maggiori” di Venezia, Milano.
  • Maltezou Ch.A. n.d., Η Βενετία των Ελλήνων / Venice of the Greeks, Alimos.
  • Mioni E. 1973, CALLIERGI, Zaccaria, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma.
  • Panofsky E. [2013], Rinascimento e rinascenze nell’arte occidentale, Milano.
  • Olympios M. 2016, Treacherous Taxonomy: Art in Venetian Crete around 1500 and the “Cretan Renaissance”, The Art Bulletin, 98, pp. 417-437.
  • Tsiouris I. 2017, An Unknown Work by George Klontzas: The icon of St. George the Dragonslayer in Corfu, Deltion of the Christian Archaeological Society, 38, pp. 247-258.
  • Vincent A. 2014, Finding “the common tongue”. The language of printed vernacular Greek verse from 1509 to the Early Eighteenth Century, in C. Carpinato e O. Tribulato (eds.), Storia e storie della lingua greca, Venezia.
  • Warburg A. [2019], Astrologica. Saggi e appunti 1908-1929, Torino.