Anche passeggiando frettolosamente per il ghetto di Roma è impossibile non notare la gigantesca, e un po’ sovradimensionata, iscrizione che corre sulla pittoresca facciata di Palazzo Manili (o, più propriamente, Manlii), di cui, solo una parte (!), è stata finalmente restaurata. Si potrebbe facilmente pensare, se non ci si sofferma a leggerla, che si tratti di uno degli innumerevoli casi di reimpiego di materiali antichi, come peraltro sembrerebbero indicare i frammenti di rilievi, sarcofagi ed epigrafi effettivamente antichi incastonati qui e là nella stessa parete dell’edificio.

Iscrizione Lorenzo Manlio
Dettaglio della (piuttosto malconcia) iscrizione della casa di Lorenzo Manlio.

Questo colto, e un po’ vanaglorioso, pastiche che mescola “antico” e “all’antica” è una delle più vivide testimonianze delle ambizioni che caratterizzavano gli strati sociali emergenti della Roma del XV sec. Secondo dinamiche di mecenatismo e collezionismo ben rodate, i nuovi ricchi – provenienti per lo più dal ceto delle professioni urbane – erano bramosi di potersi affermare nell’arena cittadina, dimostrando le loro possibilità facendo sfoggio di opere e ruderi riesumati da un maestoso e celebrato passato del quale intendevano appropriarsi (sull’argomento, vastissimo, consiglio Christian 2020).

Esponente di spicco di questa gent épicière era senz’altro Lorenzo di Mattia Manei (Rienzo Manei), speziere di mestiere ma affaccendato in molte altre attività anche di rappresentanza, come quella di sindaco della chiesa e del convento di S. Maria in Aracoeli. L’ostentazione di un glorioso lignaggio romano era per costui (ma non era certo il solo) una tale priorità, da costruire – o farsi costruire da un dotto e compiacente umanista – una fumosa discendenza dalla gens Manlia, mutando così il suo cognome in Manlio, forma che verrà poi trasmessa agli eredi (Tucci 2001).

Iscrizione Lorenzo Manlio
Tra i cavi e tubi è miseramente leggibile – al centro dell’immagine, prima riga – Laur(entius) Manlius.

Una tale operazione, che oggi i reparti marketing definirebbero di rebranding, necessita però anche di testimonianze tangibili, meglio ancora se vistosamente tangibili. Su questo punto Lorenzo aveva già un netto vantaggio. La sua bottega sorgeva infatti in uno degli snodi più frequentati della città: la centralissima piazza Giudea, smantellata ad inizio Novecento e oggi corrispondente all’incrocio tra via del Portico d’Ottavia e Piazza Costaguti. Prima della costruzione di ponte Sisto, i collegamenti tra le due sponde del Tevere erano sostanzialmente concentrati proprio in questa zona, che rappresentava quindi un passaggio quasi obbligato (Tucci 2001, pp. 105-106).

Ecco dunque che dal 1476 (MMCCXXIL anni dalla fondazione di Roma secondo l’iscrizione monumentale) Lorenzo avvia una importante opera di riqualificazione e ingrandimento dell’originale proprietà, nel clima del ben più ampio rinnovamento urbano perpetrato da Sisto IV, che comprendeva anche il prospetto principale del palazzo con il suo apparato celebrativo/commemorativo. L’operazione non è tuttavia meramente “di facciata”, ma è svolta con notevole pregio e su basi culturali che appaiono ben solide e ricercate.

Casa di Lorenzo Manilio Roma
La lunga iscrizione voluta da Lorenzo Manlio.

L’iscrizione e la riscoperta della capitale romana

Il testo, integrato e tradotto da Tucci recita:

Urbe Roma in pristinam forma[m r]enascente Laur(entius) Manlius karitate erga patri[am gent(em) a]edis suo / nomine manlian(as) a s(olo) pro fort[un]ar(um) mediocritate ad for(um) iudeor(um) sibi posterisq[ue suis ipse] p(osuit) / ab urb(e) con(dita) MMCCXXIL an(nis) m(ensibus) III d(iebus) II p(osuit) (ante diem) XI cal(endas) aug(ustas)

Rinascendo la città di Roma nella forma antica Lorenzo Manlio con affetto per la famiglia paterna conformemente all’esiguità del suo patrimonio costruì dalle fondamenta la casa di nome “manlia” a piazza Giudea per sé e per i suoi posteri 2229 anni 3 mesi e 2 giorni dalla fondazione di Roma, 11 giorni prima delle calende di agosto

Tucci 2001, pp. 191-192

L’iscrizione è dunque una creazione ad hoc, seppur opportunamente all’antica, che intende celebrare l’opera edificatoria di Lorenzo, perpetuata nel solco della glorificazione e, allo stesso tempo trasmissione, del passato. Il tempo presente, incarnato dal committente, appare qui assumere il ruolo di garante, nonché restauratore, di ciò che è stato (la famiglia) per il bene di coloro che verranno (i posteri).

La rinascenza dell’Urbe, citata all’inizio dell’iscrizione, sembra essere una presa di coscienza che l’impresa intrapresa era contestualizzata in un ben più ampio e profondo moto di ripristino dell’antica grandezza della città, reso particolarmente evidente dai cantieri e dalle opere urbanistiche promosse da Sisto IV, nonché dal cospicuo corpus di iscrizioni lapidarie che li accompagnavano (Guerrini 1986). Il delicato rapporto tra potere papale e autonomie cittadine emerge evidente anche dalle rispettive brame collezionistiche e opere di mecenatismo (De Benedictis 1991, p. 47). Impossibile non ricordare in merito la celeberrima “donazione” di Sisto IV (1471), con la quale il Papa restituiva al Popolo Romano alcune opere “priscae excellentiae virtutisque monumentum”, collocandole opportunamente sul Campidoglio, luogo per eccellenza simbolo del potere municipale (bibliografia vastissima, consiglio Pomian 2021, pp.123-130; per un ridimensionamento della contrapposizione tra poteri a Roma in questo periodo vedi Tucci 2001, p. 221).

Tornando all’iscrizione di Lorenzo, appare evidente che il ritorno agli antichi fasti dovesse passare anche attraverso il recupero del lettering classico. Il testo è infatti scolpito in modo raffinato su lastre di travertino e impaginato accuratamente su tre righe; particolare cura progettuale e abilità esecutiva è riservata ai caratteri. Le lettere appaiono infatti diligentemente disegnate su base geometrica e tracciate con un ductus triangolare che garantisce una adeguata ed elegante profondità chiaroscurale (per approfondimenti: Tucci 2001).

La riscoperta, intesa come feconda riappropriazione e creativa capacità di utilizzo, della scrittura capitale romana è una delle conquiste più elaborate (e troppo spesso poco considerate) del Rinascimento. Basti pensare alla complessità nell’individuare (tra gli altri aspetti) il modulo, i rapporti proporzionali, la geometria, la crenatura (lo spazio tra coppie) nonché le correzioni ottiche, della costruzione delle lettere.

Le prime felici sperimentazioni – capitale semi-umanistica – sembrano avvenire in ambito toscano agli inizi del Quattrocento. In queste precoci fasi sono ancora riscontrabili incertezze, incongruenze progettuali e tratti tipici della scrittura gotica, come l’andamento curvo della E o particolari forme di contrazione o riduzione. Dalla metà del XV è soprattutto l’area adriatica a dimostrare gli esempi di un utilizzo più maturo della capitale. Padova, celeberrima per l’attitudine antiquaria, ospita Donatello e i suoi magnifici contributi, anche in ambito del lettering come nella firma del Gattamelata (1448), nonché Mantegna, Feliciano (celeberrimo il suo Alphabetum romanum, vedi oltre) e Marcanova, ma vanno menzionati anche i raffinati codici del patavino Bartolomeo Sanvito (Meiss 1960; Zaccariotto 2018, pp. 39-42).

Non si possono poi non citare gli studi epigrafici di Ciriaco d’Ancona e le fabbriche di Rimini, città riconosciuta come vero e proprio laboratorio epigrafico, soprattutto per l’iscrizione dedicatoria del Tempio Malatestiano (1455 ca.), messa in opera da Matteo de’ Pasti, Agostino di Duccio sotto la guida generale di Leon Battista Alberti. Quest’ultimo è del resto ben noto anche per il più tardo (1467 ca.) tempietto del Santo Sepolcro a Firenze (San Pancrazio) (Mardersteig 1968; Meiss 1960; Tucci 2001, p. 192; Zaccariotto 2018, pp. 39-42).

Un altro interessante esempio di iscrizione celebrativa all’antica, più vicina anche cronologicamente a quella di Lorenzo Manlio, è presente a Venezia. Sulla facciata principale del suo palazzo (Ca’ Dario, 1487 ca.) sul Canal Grande, l’arteria principale della città, Giovanni Dario fa incidere in bella vista (ad altezza occhi) in capitale romana “URBIS GENIO IOANNES DARIUS”, consacrando così l’edificio al Genio cittadino (Parse Sandlin 2018).

A Roma, la compiuta affermazione della capitale romana può essere collocata durante il papato di Sisto IV (1471-1484), lo stesso periodo quindi del caso qui in analisi, con i risultati più alti, come suggerito da Porro (1986, p. 421), rappresentati dalle iscrizioni di Ponte Sisto e di via Florea nei pressi di Campo de’ Fiori.

Ca' Dario Venezia
L’iscrizione dedicatoria di Ca’ Dario, Venezia.

Caratteristica peculiare della riscoperta capitale romana, consacrata nei noti precetti e trattati del già sopra ricordato Felice Feliciano (1460 ca., versione completa digitalizzata qui >) e Luca Pacioli (1509), è la costruzione di ogni lettera su un preciso modulo geometrico quadrato. Vanno inoltre segnalate le raffinate modulazioni dello spessore delle aste, particolarmente evidenti in quelle curve e miste (O, G, Q, etc), alle quali corrisponde un adeguato contrasto tra pieno e filetto; nonché le tipiche grazie che ingentiliscono i tratti terminali. Queste ultime furono introdotte in antichità anche allo scopo pratico di consentire al lapicida di “ultimare, e bene, il tratto inciso sulla pietra” (Novarese 2020, p. 24).

Sulla storia e gli elementi del lettering consiglio vivamente la lettura di uno degli orgogli della grafica italiana: “Alfa-Beta” di Aldo Novarese (1964), recentemente riedito grazie ad una campagna di crowdfunding (approfondimenti qui >).

Materiali di spoglio

Oltre alle iscrizioni ex novo, la facciata sull’antica Piazza Giudea è corredata di vari elementi lapidei di spoglio. Questi antichi marmi sono sostanzialmente pertinenti ad epigrafi e rilievi evidentemente riemersi dalle necropoli dell’Urbe e successivamente diversamente reimpiegati. Particolarmente notevole è il frammento di un sarcofago a vasca decorato con un imponente leone impegnato a sbranare un antilopino. La potenza selvaggia della belva è tutt’altro che indomita, alla sua destra infatti è ben visibile un mansuetarius, un uomo barbuto da interpretare come un attendente/domatore. La scena è dunque da collocarsi nella tradizione dei giochi ospitati negli anfiteatri. Questa tipologia di sarcofago, nota come “a lenòs” è particolarmente diffusa a cavallo tra il III e IV sec. d.C., bellissimi esemplari sono presenti, ad esempio, nella collezione Torlonia, nel Cortile Ottagono dei Musei Vaticani e ai Musei Capitolini.

La fortuna del leone in ambito funerario sembra dipendere soprattutto dal suo valore apotropaico, nonché per il richiamo all’ineluttabilità della morte (per approfondimenti consiglio la scheda #84 di Dodero nel catalogo dei Marmi Torlonia).

Subito a destra è incastonato un ulteriore elemento antico che richiama il tema della caccia, si tratta di una stele, con iscrizione in greco, databile tra la fine del I e gli inizi del II sec. d.C., che raffigura un lupo intento a sbranare un piccolo animale (verosimilmente un coniglio).

È da sottolineare come tanto il leone quanto il lupo (o meglio, la lupa) siano animali profondamente legati al Campidoglio. Una colossale scultura di un leone in atto di sbranare un cavallo era infatti collocata sul colle quale simbolo del potere comunale, mentre la lupa bronzea faceva parte del gruppo delle restituzioni di Sisto IV esposte proprio sul Campidoglio (vedi sopra) quale prova tangibile del “peso” papale.

Va infine citato quantomeno il rilievo funerario collocato sull’estrema destra del palazzo. Questo, evidentemente deficitario della parte sinistra, raffigura il busto di una donna con verosimilmente i tre figli. In alto è riportato il luogo e l’anno di rinvenimento: Via Appia, 1478. Come nota Tucci (2001, p. 189) non appare casuale che un originale “ritratto” di famiglia antica sia incastonato proprio in corrispondenza della parte destra della lunga iscrizione celebrativa voluta da Lorenzo. Qui infatti viene fatto esplicito riferimento ai suoi antenati, nonché ai suoi successori.

Rilievo romano con busti
Rilievo funerario romano con busti.

Da gent épicière a gens Manlia

L’antico e all’antica sono i due mezzi che hanno permesso a Lorenzo di dare una sostanza tangibile e monumentale al suo conquistato diritto di “elevarsi” da esponente della gent épicière ad erede della gens Manlia. L’aspetto forse più interessante della vicenda è che la sua parabola biografica ben esemplifica il clima della Roma di fine XV sec., dove le fortune e le aspirazioni di un ceto municipale in fermento si intrecciano inevitabilmente con le mire papali e l’instaurazione di una corte. Per chi desiderasse approfondire, consiglio vivamente di procurarsi la splendida monografia di Tucci (riferimenti in calce) dedicata a Lorenzo Manlio.

Concludo rilevando l’impietoso stato in cui versa la casa di Lorenzo. Le vicissitudini nei secoli hanno condannato l’edificio – e l’iscrizione stessa – a modifiche, integrazioni e ad una ripartizione in diverse proprietà che oggi si traduce in una vistosa disomogeneità di conservazione. Una parte (!) è stata tuttavia da pochi mesi restaurata, spero che a questa segua a breve un intervento complessivo.


Consigli di lettura

  • Bianchi F. 1996, Testimonianze architettoniche di un tempio marmoreo repubblicano presso la casa di Lorenzo Manili, Mélanges de l’École française de Rome. Antiquité, 108, pp. 53-82.
  • Christian K.W. 2020, Le collezioni di scultura antica nella Roma rinascimentale, in Settis S., Gasparri C. (eds), I marmi Torlonia. Collezionare capolavori, Milano, pp. 52-57.
  • De Benedictis C. 1991, Per la storia del collezionismo italiano, Firenze.
  • Guerrini P. 1986, L’epigrafia sistina come momento della “restauratio Urbis”, in Miglio M. et al. (eds), Un pontificato ed una città. Sisto IV (1471-1484). Atti del convegno, Roma, 3-7 dicembre 1984, Roma, pp. 453-468.
  • Mardersteig G. 1968, Leon Battista Alberti e la rinascita del carattere lapidario romano nel Quattrocento, Italia medioevale e umanistica, 2, pp. 285-307.
  • Meiss M. 1960, Toward a More Comprehensive Renaissance Palaeography, The Art Bulletin, 42.2, pp. 97-112.
  • Novarese A. 2020 (riedizione), Alfa-Beta. Lo studio e il disegno del carattere, Torino.
  • Parse Sandlin J. 2018, The Ca’Dario: A Message from a Cittadino, Athanor, XXII, pp. 23-29.
  • Pomian K. 2021, Il museo. Una storia mondiale, Vol. I, Torino.
  • Porro D. 1986, La restituzione della capitale epigrafica nella scrittura monumentale: epitafi ed iscrizioni celebrative, in Miglio M. et al. (eds), Un pontificato ed una città. Sisto IV (1471-1484). Atti del convegno, Roma, 3-7 dicembre 1984, Roma, pp. 409-427.
  • Tucci P. 2001, Laurentius Manlius. La riscoperta dell’antica Roma. La nuova Roma di Sisto IV, Roma.
  • Zaccariotto G. 2018, Caratteri alfabetici e firme nelle medaglie italiane tra XV e XVI secolo, in Savo A., Cavagna A. (eds), Saggi di Medaglistica, Milano, pp. 37-70.