Mi trovo oggi a Parma per visitare la mostra di Fornasetti ospitata presso il complesso della Pilotta, il cui piatto forte è sicuramente l’allestimento nel Teatro Farnese. Già due anni fa, in una esposizione simile dedicata allo stesso maestro a Roma, ero rimasto piacevolmente colpito dal dialogo tra l’artista-grafico milanese e i magnifici spazi di Palazzo Altemps. Le (spesso) ironiche citazioni prese da uno stratificato repertorio che attinge a piene mani dall’antico, si concretizzano in oggetti, accessori e decorazioni che dovrebbero ben armonizzarsi con uno dei templi del collezionismo quale è il palazzo emiliano dei Farnese. In più da domani scatterà la nuova chiusura di tutti i luoghi della cultura (causa COVID-19), pertanto meglio sfruttare questa ultima occasione in vista di un lungo inverno.

Fornasetti Theatrum Mundi
L’ingresso alla mostra di Fornasetti presso il complesso della Pilotta

Le vicende legate alla commissione e alla costruzione del Teatro Farnese di Parma, ma soprattutto la sua mancata inaugurazione nel 1619, sembrano ben esemplificare il topos del Theatrum Mundi. Il mondo non sarebbe che il luogo dove gli uomini recitano una parte, una concezione più ampia dallo shakespeariano “all the world’s a stage” poiché essa comprende il teatro nel suo insieme e non solo il palcoscenico. Include cioè il pubblico inteso come la sfera divina “the gods of Plato whose plaything is man, or the God of John of Salisbury (Cohn 1967) che assiste, forse anche un po’ cinicamente, allo spettacolo della vita umana. Questo topos è ovviamente molto più complesso delle informazioni che ho qui selezionato, per un iniziale approfondimento invito alla lettura di Bernheimer 1956.

Teatro Farnese Parma
Il Teatro Farnese all’interno del complesso della Pilotta, Parma. Sulle gradinate della cavea sono temporaneamente posizionati alcuni piatti Fornasetti a mo’ di spettatori
A sx: Botticini, Assunzione della Vergine, 1475-76. A dx: Raffaello, Disputa del Sacramento, 1509 ca. Foto wikimedia

«Immagina, allora, lungo questo muricciolo degli uomini portanti attrezzi di ogni genere, che sporgono al di sopra del muro, e statue e altre figure di viventi fabbricate in legno e pietra e in tutti i modi; e inoltre, come è naturale, che alcuni dei portatori parlino e che altri stiano in silenzio» […] «Sono simili a noi – ribattei –, Infatti, credi, innanzi tutto che vedano di sé e degli altri qual­cos’altro, oltre alle ombre proiettate dal fuoco sulla parte della caverna che sta di fronte a loro?» […] «Se, dunque, fossero in grado di discorrere fra di loro, non credi che riterrebbero come realtà appunto quelle che vedono?».

Platone, Repubblica, VII, 514A-521C. (Il mito della caverna)

«Life’s but a walking shadow, a poor player
That struts and frets his hour upon the stage,
And then is heard no more.».

Shakespeare, Macbeth, Atto V

Meraviglia e spavento (se non la vita stessa), entrambi frutti dell’inganno e della finzione, sono i due estremi tanto cari alla cultura barocca che da un lato, grazie soprattutto alle scoperte scientifiche, sembra espandere all’infinito gli orizzonti dell’uomo e, di riflesso, della sua arte (basti pensare agli sfondamenti illusionistici della decorazione architettonica), dall’altro lo condanna ad un rinvigorito e onnipresente memento mori.

Di fronte all’infinito, la finitezza umana, intesa come condizione di ciò che è limitato, è lampante e schiacciante. (Oppure, al contrario come ricorda Umberto Eco in Vertigine della lista, l’esperienza dell’infinito potrebbe anche produrre “un piacere inquieto, che ci fa sentire la grandezza della nostra soggettività, capace di volere qualcosa che non possiamo avere”).

Tutti questi elementi sono presenti oggi entrando nel Teatro Farnese, che ospita, come già anticipato, una mostra su Fornasetti. Forse non era nemmeno precisa volontà dei curatori, verosimilmente più orientati a valorizzare il repertorio e le suggestioni del maestro milanese, ma il gigantesco teschio che succhia con nonchalance una margherita, proiettato alternandosi ad altre opere, è un perfetto memento mori ospitato in un magnifico spazio teatrale dove tutto è esagerazione, finzione e imitazione.

Teatro Farnese Parma Mostra Fornasetti
Palcoscenico del Teatro Farnese di Parma.
Il complesso della Pilotta ospita la mostra su Fornasetti “Theatrum Mundi”
A sinistra l’imponente arco di trionfo che funge da accesso al Teatro, decorato con un onirico collage Fornasetti, a destra un dettaglio della cavea e delle logge

Come vedremo meglio dopo, l’esigenza di Ranuccio I Farnese di accogliere degnamente Cosimo II de’ Medici a Parma nel 1619, si tramuta in una titanica impresa di monumentalizzazione dell’effimero che, proprio come in un consumato coup de théâtre, fu destinata a sprofondare in un silenzioso oblio proprio sul più bello, a cantiere e preparativi ultimati, per il mancato arrivo del Granduca di Toscana.

“Non diede manco dilettevole trattenimento nello stare, che gustosa ammirazione nel suo sparire” (Buttigli 1629). Queste parole, quasi per uno scherzo del destino, non descrivono l’iniziale triste sorte del teatro, ma i fastosi e “barocchi” festeggiamenti, in occasione del matrimonio tra Odoardo Farnese e Margherita de’ Medici, che lo inaugurarono nel 1628. Malgrado gli imprevisti, appare evidente che il ruolo del teatro fosse da sempre stato legato al rapporto, o per meglio dire agli auspici di un riavvicinamento, tra la dinastia dei Farnese e quella dei Medici, pertanto le tanto attese celebrazioni a dieci anni dal suo completamento non vanno intese come un ripiego.

La dinastia Farnese viene celebrata con due statue equestri dei predecessori di Ranuccio: Ottavio e Alessandro Farnese, a firma di Luca Reti e poste ai lati del boccascena

Gli antefatti e il contesto: speranze malriposte

Come ben ricordato da Ciancarelli nel 1987, Ranuccio Farnese si trovò in una situazione molto complessa e delicata dopo la congiura del 1611. Riuscito vincitore dal fallito tentativo di estromissione messo in campo dalla nobiltà parmense, Ranuccio rimodulò, quasi azzerandoli, i rapporti e le gerarchie all’interno della sua corte, ora “controllata da un forte potere statale”. Tuttavia il nuovo equilibrio necessitava di forti alleanze, soprattutto nel frammentassimo mosaico della geografia politica italiana e a fronte degli appetiti europei. Da questa esigenza strategica emergono i tentativi, alcuni al limite del goffo, della corte dei Farnese di riavvicinarsi e legarsi a quella, ben più forte, dei Medici (forse non estranea alla congiura stessa).

L’occasione perfetta sembrò profilarsi in vista del viaggio di Cosimo II a Milano nel 1619. Il Granduca avrebbe potuto fare tappa a Parma, ricevere i migliori onori da Ranuccio Farnese, e verosimilmente stringere accordi.

Quella che appare come una mera possibilità – anche nell’analisi delle fonti, sempre di Ciancarelli 1987 – sembra però essere presa fin troppo sul serio da Ranuccio, che mette in moto una sfarzosissima e costosissima macchina di preparazione ai festeggiamenti, evidentemente un (rischioso) investimento più che una spesa. Non fu solo la sala d’armi del palazzo della Pilotta ad essere trasformata in teatro, ma tutta la città di Parma, che (almeno su carta) doveva essere invasa dagli “arredi impiegati per ritruccare le strade e i palazzi […] in occasione della solenne parata” (Ciancarelli 1987). Il Teatro Farnese va quindi inquadrato come il trionfale epilogo di una precisa e ben orchestrata strategia dello spettacolo, dove gli scopi politici vengono veicolati attraverso uno “show”.

In quest’ottica, anche la scelta di cosa rappresentare nel nuovo teatro era cruciale. Lo spettacolo (forse un po’ stucchevole) intitolato “La difesa della Bellezza”, ideato dal letterato di corte Alfonso Pozzo e da egli definito come “festa teatrale”, prevedeva una serie di mirabolanti atti con protagonisti gli dèi e gli eroi antichi, dominati dalla meraviglia suscitata dai complessi macchinari di scena, alternati ad esibizioni di cavalieri. Il vero culmine della “festa” era rappresentato dalla naumachia che prevedeva l’allagamento della vasta piazza teatrale che divide la scena dalla cavea.

“Ma annerato ora tutto il Cielo, e fatto lago e pieno d’acqua il Teatro ch’era sin allora stato passeggio a’ cavalieri…”

Alfonso Pozzo, La difesa della Bellezza, Quarto intermedio

Le allusioni, per nulla velate, ad un riavvicinamento delle due casate, erano numerose nei dialoghi degli attori che ruotavano attorno al tema dell’opposizione tra Bellezza e Discordia. I miti e le favole antichi venivano citati e usati come un repertorio di personaggi e vicende, e incastonati, quasi come delle gemme antiche, in un nuovo sistema narrativo finalizzato all’intrattenimento e alla persuasione del Granduca di Toscana.

A lavori e preparativi ultimati, Ranuccio Farnese riceve la più infausta notizia: il Granduca di Toscana rinunciava al suo viaggio a causa di una malattia. Non solo “La difesa della Bellezza” non verrà messa in scena, ma lo stesso teatro cade in un sostanziale oblio. Malgrado “il grande apparato fu visitato da molti architetti che ne diffusero la leggendario perfezione” (Innamorati 2003), bisognerà attendere dieci anni, quando finalmente i piani di Ranuccio, ormai deceduto, trovano la migliore delle realizzazioni: il matrimonio tra Odoardo e Margherita sancisce la rinnovata unione tra i Farnese e i Medici, e il teatro viene finalmente inaugurato.

Teatro Farnese

L’architettura: monumentalizzare l’effimero

Il progetto di conversione della sala d’armi (o antiquarium) del palazzo della Pilotta a sala teatrale permanente si deve in larga parte all’architetto emiliano Giovan Battista Aleotti, detto l’Argenta (1546-1636), legato agli ambienti culturali di Ferrara e rinomato per i suoi studi ed opere nell’edilizia pubblica monumentale, nell’ingegneria idraulica e non estraneo alle sperimentazioni di scenografie per gli spettacoli. La sua permanenza a Parma fu breve e discontinua, ed è questa la causa delle difficoltà di attribuzione al teatro come lo vediamo oggi, ma quantomeno l’impianto progettuale e le macchine di scena sono di sua firma, coadiuvato dalla sapiente (e astuta) regia del marchese Enzo Bentivoglio nel ruolo di impresario (oggi lo definiremmo il general contractor).

I riferimenti architettonici, soprattutto l’impiego della cavea a gradoni e il doppio ordine di serliane (trifora con aperture laterali trabeate e quella centrale ad arco), guardano di certo alle esperienze in ambito veneto del Falconetto e del Palladio, basti pensare alla Loggia Cornaro di Padova (1524 ca.), alla Basilica (1549 ca.) e al Teatro Olimpico (1580 ca.) di Vicenza, oppure all’esempio dello Scamozzi con il Teatro all’Antica di Sabbioneta (1588 ca.). Tuttavia, come ben specificano sia Ciancarelli che Innamorato, la grande “piazza” centrale ad “U”, sgombra dalla platea e dall’orchestra, si rifanno verosimilmente al modello dell’anfiteatro antico e alle strutture temporanee per i teatri da torneo cavallereschi. Allargando lo sguardo, già l’emiciclo di Villa Giulia a Roma (leggi l’articolo dedicato) tradiva, con la sua decorazione pittorica a sipario, un intento spettacolare-teatrale.
Bisogna quindi sottolineare come l’elaborazione di questo tipo architettonico sia stata lunga e complessa, non scevra dalle influenze (e dalle speculazioni) dei numerosissimi trattati cinquecenteschi. Consiglio la lettura di Bernheimer 1956 in merito.

Emiciclo di Villa Giulia
In alto l’emiciclo di Villa Giulia, in basso le decorazioni del portale di accesso che raffigurano lo scostarsi di un tendaggio a sipario

La derivazione dalle architetture provvisorie, destinate alle giostre e agli spettacoli, sembra conservare una eco nella scelta dell’impiego del solo materiale ligneo, originariamente rivestito in stucco ad imitazione del marmo. L’impostazione e lo stile sono evidentemente monumentali, ma questi elementi non si traducono in un coerente impiego di materiale lapideo, che viene invece sostituito dall’effimero legno. Anche in questa solo apparente contraddizione si mescolano, ancora una volta, meraviglia e finzione.

“Nella sala farnesiana di Parma le concezioni architettoniche dell’Aleotti […] trovano appropriata realizzazione nell’elaborazione di un criterio di illusione spettacolare e di travestimento scenografico che tende ad istituzionalizzare la trasformazione dello spazio architettonico in un luogo assoluto di spettacolo, immerso nell’universo dell’artificialità e dell’illusione”.

Ciancarelli 1987

Architettura lignea
Dettagli dell’architettura lignea del Teatro Farnese

Quello che oggi ammiriamo è purtroppo solo una parte dell’originale struttura. Pesantemente degradato dall’incuria e dai bombardamenti del 1944, il teatro fu restaurato e ripristinato negli anni Cinquanta. L’apparato pittorico e scultoreo, a guida rispettivamente di Giovan Battista Trotti detto il Malosso e Luca Reti, è andato perduto in molte sue parti, soprattutto il soffitto. Sopravvivono però alcuni lacerti di decorazione ai lati del boccascena e, soprattutto, parti estese e molto apprezzabili dietro alle serliane che permettono di ammirare il dialogo tra elementi tridimensionali e raffigurazioni. Nel punto dove si divide il muro perimetrale dall’apparato ligneo che si incurva (vedi foto sotto), la pittura fa da eco all’architettura generando una seconda quinta illusionistica. Sono conservate inoltre alcune sculture in gesso e tessuto (interessante anche in questo caso la scelta di materiali effimeri). Oltre alle due magnifiche statue equestri di Odoardo e Alessandro Farnese ancora in situ, varie raffigurazioni di allegorie, originariamente collocate nelle nicchie e sulla balaustra, sono oggi esposte in vari punti della sala, entro casse e bancali da trasporto (l’effimero che curiosamente ricorre) per motivi statici.

Pitture Teatro Farnese
Dettaglio del punto dove parete perimetrale, apparato ligneo e pittura interagiscono in modo più dinamico e inaspettato.
Allegorie di Luca Rieti in gesso e tessuto con anima di ferro, legno e paglia

L’eredità del Teatro Farnese

Il teatro fu utilizzato rarissime volte, sostanzialmente in otto occasioni nell’arco di ottant’anni (Verde e Quagliotti 2020), a causa dei costi esorbitanti dei suoi allestimenti e lo spostamento degli interessi, nonché delle collezioni, della dinastia verso Napoli, a seguito soprattutto delle volontà di Carlo di Borbone (1759-1788), figlio di Elisabetta Farnese e Filippo V di Spagna. Ancora oggi, camminando nei grandissimi spazi della Galleria Nazionale – malgrado il loro riassetto più tardo e la straordinarietà delle opere presenti – si ha un po’ la sensazione “che manchi qualcosa”. Silenziosi testimoni restano, ad esempio, i due colossi del II sec. (quasi 4 metri di altezza!) in basanite provenienti dagli Horti Farnesiani sul Palatino, giunti e rimasti a Parma dal 1724.

I colossi in basanite dagli Horti Farnesiani. A destra Eracle, a sinistra Dioniso sorretto da un satiro

Malgrado il suo raro utilizzo, il Teatro Farnese e le (mancate) grandi feste in onore della prevista permanenza di Cosimo II e le (avvenute) celebrazioni delle nozze tra Odoardo e Margherita, “riverberano la loro luce sulle origini del gran teatro barocco” (Ciancarelli 1987). Meraviglia, finzione, elaborate e complicate macchine sceniche, esagerata (forse) insistenza sugli effetti spettacolari, sono tutti elementi già ampiamente presenti a Parma sin dai progetti del 1618.

Poco importa che l’improvvisa malattia del Granduca di Toscana impedì la messinscena dell’articolato spettacolo voluto da Ranuccio, anzi. “La difesa della Bellezza”, le grandi parate, i trionfi e i tornei per Cosimo appartengono per sempre alla sfera dei fantasiosi progetti e delle magnifiche possibilità, forse la loro dimensione più opportuna, perfette nella loro macchinosità e mai “macchiate” di realtà.


Consigli di lettura

  • Bernheimer, R. 1956, Theatrum Mundi, in The Art Bulletin, 38.4 (Dec., 1956), pp. 225-247.
  • Ciancarelli, R. 1987, Il progetto di una festa barocca. Alle origini del Teatro Farnese di Parma (1618-1629), Roma.
  • Cohn, R. 1967, “Theatrum Mundi” and Contemporary Theater, in Comparative Drama, 1.1 (Spring 1967), pp. 28-35.
  • Eco, U. 2019, La vertigine della lista, Firenze-Milano.
  • Gilles, J. 1994, Shakespeare and the Geography of Difference, Cambridge.
  • Pisciella, S. 2014, Political Power through Architectural Wonder. Parma, Teatro Farnese, in M. Rosso (ed.), Investigating and writing architectural history: subjects, methodologies and frontiers papers from the third EAHN International Meeting, pp. 706-714.
  • Sinisi, S. e Innamorati, I. 2003, Storia del teatro: lo spazio scenico dai greci alle avanguardie storiche, Milano.
  • Tafuri, M. 1972, Architettura dell’Umanesimo, Bari.
  • Verde, S. e Quagliotti, M.C. 2020, Parma. Complesso monumentale della Pilotta. I capolavori, Cinisello Balsamo.